‘lettura del libro Il Piacere’ di Gabriele D’Annunzio’, a cura di Marco Rossi con accompagnamento musicale della violinista Linda Leccese. special guest l’attrice Cristina Sarti

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‘lettura del libro Il Piacere’ di Gabriele D’Annunzio’, a cura di Marco Rossi con accompagnamento musicale della violinista Linda Leccese. special guest l’attrice Cristina Sarti

‘Lettura  del libro ‘Il Piacere’ di Gabriele D’Annunzio, a cura di Marco Rossi con accompagnamento musicale della violinista Linda Leccese. special guest l’attrice Cristina Sarti

spazio giardino Barsanti, Chiostro di Sant’Agostino ore 22.00

Reading di brani del romanzo “Il Piacere” di Gabriele D’annunzio

Regia e letture a cura di Marco Rossi
Commenti musicali a cura della violinista Linda Leccese

special guest l’attrice Cristina Sarti

 

La lettura delle pagine più significative del romanzo “Il piacere”, intervallate da brevi commenti al violino, immergeranno lo spettatore nelle seducenti e sensuali atmosfere create dalla prosa immaginifica del grande scrittore pescarese, con la Roma Umbertina di fine Ottocento che fa da scenario alle vicende del giovane protagonista Andrea Sperelli  e delle donne da lui amate.

Il reading si concluderà con la lettura della poesia “La pioggia nel pineto”,  notissima lirica scritta Gabriele D’annunzio proprio alla Versiliana

 

*Marco Rossi ha al suo attivo da oltre venti anni una intensa attività teatrale e registica nei circuiti del teatro amatoriale. Linda Leccese, diplomata in violino al Conservatorio di Lucca, è una giovane e già affermata musicista professionista.

Farà inoltre parte del reading l’attrice  Cristina Sarti

 

d’Annunzio ha una forte capacità di evocazione, sembra di vivere e di percorrere le strade e gli scenari che ci vengono descritti…

L’oro, una scultura, petali rossi quasi sfioriti, gli amori e le passioni travolgenti, l’estrema sensualità, un’angosciante senso di oppressione, l’horror vacui. Questo è il barocco, è il troppo che non storpia, l’eccesso che è male di vivere, è nostalgia dell’Olimpo, è uno sguardo rivolto a qualcosa di più nobile e più grande della nostra vita. Andrea Sperelli è Maria.Tuttavia è Elena il soggetto dei continui turbamenti e dei desideri, anche quelli rivolti a Maria, di Andrea,.

La Roma del Piacere è la Roma umbertina, città gaudente, raffinata, lasciva, che si adatta bene al temperamento del protagonista. L’autore presenta ampi scorci cittadini, come Porta Pia e Trinità dei Monti, ed eleganti interni, come quelli di Palazzo Zuccari e di Palazzo Schifanoia, a Ferrara. Il romanzo, ambientato tra il 1885 e il 1887, serve a D’Annunzio per denunciare la profonda limitatezza e mediocrità della classe borghese, oltre che la crisi dei valori e degli ideali dell”aristocrazia. Andrea, tutto imbevuto di erudizione e di conoscenza artistica, fonda la sua vita su una massima paterna: egli crede che ”bisogna fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte”.

Profondamente curato e stilisticamente perfetto, Il Piacere è un romanzo di indubitabile peso storico e letterario. Un protagonista dalle passioni travolgenti, una femme fatale, uno stile prolisso e accurato da tipico esteta e la bellezza seducente di una Roma immortale non sono che ghirigori intorno ad un grave problema della società di fine ottocento: la decadenza della classe aristocratica.
Non si può criticare un’opera di così vasta portata, tanto meno se accompagnata dallo stile impeccabile del D’Annunzio, il quale, pur mantenendo un linguaggio chiaro e alla portata di tutti, non rinuncia a raffinate figure retoriche, riferimenti a grandi poeti del passato – come Percy Shelley -, accurate descrizioni di luoghi e sentimenti e all’inserimento di appassionati sonetti in stile petrarchesco. Tutto ciò può avere due reazioni nel lettore: esaltarlo follemente o annoiarlo mortalmente, io propenderei per la seconda opzione, se non amassi la musicalità poetica e la perfezione nello stile.
Non possiamo non accennare infine, all’importanza rivestita dall’apparenza e dall’arte. Il giovane protagonista, Andrea Sperelli, in quanto giovane artista e raffinato esteta si lascia guidare nel cammino della propria esistenza dal consiglio del padre: “Bisogna fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte”, e questo immagino dica tutto sulla sua personalità.
Vorrei allegare un piccolo stralcio tratto dal libro, per rendere ancora più chiare le mie parole: “Affascinato dal tramonto bellicoso, egli non anche giungeva a veder chiaramente in sé medesimo. Ma, quando la cenere del crepuscolo piovve spegnendo ogni guerra e il mare sembrò un’immensa palude plumbea, egli credé udire nell’ombra il grido dell’anima sua, il grido d’altre anime. Era dentro di lui, come un cupo naufragio nell’ombra”.

Andrea Sperelli, pur racchiudendo la quintessenza della distorta idea di personalità eccezionale, straordinaria, che serpeggia tuttora nella quotidianità italiana, fa ormai quasi sorridere, perché non ha la “malattia” tipica dell’uomo moderno, di cui, tanto per fare un esempio, parlava nei suoi saggi Pirandello (autore che, invece, aveva compreso l’improponibile arroganza di chi, alle soglie del Novecento, era cieco di fronte all’agghiacciante ben più realistico avvento del relativismo culturale). Non per niente, D’Annunzio e Pirandello si contrapposero più volte. Datato e ormai muto lo Sperelli; Mattia Pascal (o Vitangelo Moscarda) e Dorian Gray continuano, invece, ad interrogarci e a farsi interrogare.

Strada facendo sale forte il messaggio dell’autore, come un vento insinuatosi tra le pagine; impossibile ignorarlo. L’incanto si spezza, la caduta avanza, in maniera duplice, ossia nelle pieghe dell’animo umano e della società e nel campo artistico.
Mirabile D’Annunzio nel mettere in scena l’ambivalenza piacere- infelicità, estasi-struggimento, bellezza-decadimento.
Il sole, le essenze, i fiori, i luoghi ameni, compartecipi muti della gioia di vivere, dell’esaltazione amorosa, dell’estasi artistica, cedono la scena al silenzio cupo, al grigio logorio della mente, al tarlo del tradimento, alle stanze depredate dalle bellezze preziose e passate nelle mani di mercanti senza scrupoli e senza amore per l’arte.

Immenso è il contenuto de Il Piacere, elaborato dalla penna lirica, densa, elegiaca d’annunziana.
Il gusto per l’estetica è interpretato magistralmente dal protagonista Sperelli, uomo e artista; un uomo che vive di eccessi, anima ambigua, che fa della passione e della ricerca della bellezza un motivo di vita, forse l’unico.
Il dio piacere narrato da D’Annunzio assume le sembianze di un Giano bifronte, non è solo esaltazione del gusto edonistico della vita e delle arti, ma è fonte di egoismo, immoralità, corruzione.
Tante influenze letterarie affiorano tra le righe, donando al romanzo un costrutto ricco, senza deviare l’attenzione del lettore dal flusso narrativo, anzi potenziandone l’effetto e la consistenza.
E’ una lettura che appartiene ad un altro tempo e ad un altro sentire, eppure è destinata a rimanere testamento letterario.

 

 

Si tratta, naturalmente, di un invito alla lettura, perché è impossibile trattare la multiforme personalità di d’Annunzio – e i suoi riflessi in questo romanzo – in poche righe. Per cominciare, alcune, indispensabili annotazioni cronologiche. Il Piacere, è il primo romanzo di Gabriele d’Annunzio: il futuro Vate lo scrive di getto tra il 26 luglio 1888 al 10 gennaio 1889. Sembra incredibile che una tale, raffinatissima opera di ingegneria artistica sia stata prodotta in soli sei mesi. Il Piacere corrisponde però a un progetto che d’Annunzio ha ben chiaro in mente sin dal 1887, anno in cui scrive all’amico Enrico Nencioni di voler costruire il “disegno romanzesco di un dramma di alta passione, con tre protagonisti, due donne e un uomo, tutti elevati nella mente e nello spirito”. Il romanzo è dato alle stampe nello stesso 1889, anno in cui è pubblicato anche il verghiano Mastro-don Gesualdo. Il Piacere, dunque, vede la luce in un momento in cui positivismo e naturalismo dominano il panorama letterario italiano. Come sottolineò Benedetto Croce, con d’Annunzio “risuonò nella letteratura italiana una nota fino ad allora estranea, sensualistica, ferina, decadente”.

Decadente: è questa la novità fondamentale. Così come, un secolo prima, Foscolo aveva traghettato sul suolo italiano il tipo dell’eroe romantico con Iacopo Ortis, d’Annunzio “importa” il modello dell’esteta decadente. Andrea Sperelli, protagonista del romanzo, è “ultimo discendente di una razza intellettuale”, fratello minore di Des Esseintes, quasi coetaneo di Dorian Gray. Un fratello debole, potremmo dire, perché già la prima opera dannunziana rivela tutta la fragilità dell’estetismo: Andrea Sperelli vive, nell’arco di tutto il romanzo, il suo grande fallimento di uomo e intellettuale. Il fallimento si misura nel rapporto con la donna, che si sdoppia nella voluttuosa Elena Muti e nella purissima Maria Ferres: due figure femminili opposte e complementari, che si allontanano l’una dall’altra ma condividono tratti significativi, tanto da essere confuse.

Andrea fallisce, non riesce a dominare la realtà: egli rimane straniero nei confronti dell’eros e della vita intera. Non a caso, la maggior parte degli avvenimenti è narrata dal protagonista in un discorso indiretto libero che, retrospettivamente, recupera il vissuto solo come flashback. La memoria e la rievocazione sono gli strumenti che legano Andrea al mondo, e sono gli unici elementi che garantiscono l’unità strutturale del romanzo (criticata da James e Croce), creando un’architettura analogico-simbolica in cui ogni oggetto ha un suo significato “altro”.

 

Potremmo parlare ancora a lungo di d’Annunzio. Ci sarebbero tanti miti da sfatare (ce ne sono sempre, in un mondo di manuali che iscrivono gli autori sotto etichette onnicomprensive che spesso falsificano i significati o, peggio, stravolgono le intenzioni), tanti spunti di riflessione. Ciò che mi preme sottolineare, più di tutto, è che credo sia arrivato il momento di spogliare d’Annunzio dei grandi pregiudizi che per molti anni hanno ridotto il tempo a lui dedicato nelle scuole italiane. Non leggere d’Annunzio perché “è fascista” è un’espressione che ormai ha fatto il suo tempo, così come ha fatto il suo tempo la scuola critica volta a dar peso solo alle ultime opere di stampo diaristico.

D’Annunzio – e qui ha un valore incommensurabile il giudizio di Giorgio Bàrberi Squarotti, che vi invito a leggere – è grande perché grande sperimentatore di forme letterarie (ha rinnovato in tutto ed è impossibile non guardare a lui, dirà Eugenio Montale). E’ un poeta e uno scrittore da studiare e amare perché, come tutti i poeti che hanno lasciato un segno nella storia letteraria, ha recepito ed elaborato in modo originale i desideri e le paure del suo tempo. E’ stato il più grande collezionista di parole, nell’ultimo tentativo di creare un museo del reale, un ultimo tentativo di fare poesia in un mondo che uccide l’arte.

 

Non è l’adesione al fascismo a contraddistinguere d’Annunzio, non l’appartenenza a qualsivoglia fazione politica (serve a qualcosa ricordare che fu anche candidato nelle liste di sinistra?), ma questo grande terrore, gli occhi sgranati nella contemplazione di un universo che muore e la spasmodica volontà di far rivivere la perfezione. Il continuo, inarrestabile fallimento degli ultimi cultori della Bellezza. In questo, forse, potremmo ricavare il senso ultimo del finale del Piacere: Andrea Sperelli è muto, non pronuncia una sillaba mentre gli oggetti che erano stati simbolo del suo grande amore sfiorito sono venduti all’asta. Andrea Sperelli, e con lui d’Annunzio, tace, mentre resta seduto tra mercanti e usurai, lui grande esteta, tra gli “squisiti cadaveri” di un’arte ridotta a merce.

 

 

Laura Ingallinella

Narrazione ridondante e solenne, ricercata sin nei minimi particolari, D’Annunzio in quest’opera ci fa percepire sin dall’inizio l’idea di una fine: lenta, impalpabile, inavvertibile. Sin da subito ci si immerge nelle descrizioni di una Roma aristocratica di fine ‘800, un mondo chiuso in sé stesso, arrogante, tronfio dei propri trascorsi e delle sue glorie, privo di valori concreti e destinato al proprio abbattimento e alla propria devastazione, un’autodistruzione annunciata. Andrea Sperelli, il protagonista della storia, rievoca un perfetto dandy, un Dorian Gray, l’esteta dedito al culto di ogni forma di bellezza e vanità, i suoi modi rispecchiano la leggerezza del carattere, porta a trattare le cose serie con frivolezza e le cose frivole con più serietà di quelle che non meritino, di immane vuotezza interiore, ostenta un’alta opinione di sé stesso, dei propri meriti e delle proprie doti fisiche e amorose: è il perfetto modello del nobile decadente!

Con stile enfatico, solenne, dignitoso e ricercato, l’autore rappresenta le azioni, gli oggetti, le sensazioni provate dal protagonista come dettagli non secondari di un’esistenza in uno sforzo particolarmente intenso verso la perfezione, vissuta nell’incessante tentativo di appagare ogni desiderio e qualsivoglia piacere. Anche il linguaggio scritto sembra cessare la semplice funzione di mezzo comunicativo e diventa elemento integrante di questa ricerca estetica. Le descrizioni dei luoghi, della natura, dei colori e dei profumi, su cui D’Annunzio si sofferma puntualmente, ne sono la prova più evidente, così come le numerose e travagliate vicende amorose di Sperelli, lontane dall’essere guidate da reali sentimenti, offrono la visione di un’esistenza vacua, condotta al solo scopo di soddisfare i sensi, e saranno per il giovane la vera causa dello sgretolarsi di ogni sogno.

 

 

 

Agosto 03 2022

Details

Date: 3 Agosto 2022
Time: 22:00
Evento Categories:

Venue

Chiostro di Sant’Agostino

via S. Agostino, 1
Pietrasanta, Lucca 55045 Italia

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