di Mario Tobino
regia di Andrea Buscemi
con LIVIA CASTELLANA
L’urgenza di riproporre a teatro le pagine di Mario Tobino ci pare assai significativa, in un periodo storico dove la Parola poetica è così quotidianamente perentoriamente mortificata dal linguaggio televisivo.
L’imbarbarimento dei comportamenti e la volgarizzazione degli intenti di questa nostra ambigua e miseranda epoca da basso impero fa a pugni con gli alti ideali che mossero l’approccio scientifico di Mario Tobino (intriso di così grande spessore umano) e poi l’intero suo percorso letterario: dove la Poesia permea interamente ogni sua pagina.
Ne Le libere Donne di Magliano Tobino è maestro nel tradurre i fremiti della sofferenza fisica e psicologica, e il suo messaggio si imprime nel ricordo, turbando il sonno a distanza di anni.
Forse l’arte è semplicemente questo: sapienza nella descrizione del dolore.
Tobino si spinge in avanguardia ancora più in là, quasi scommettendo nientemeno che sulla cognizione del medesimo. Non è semplice, il tema è anzi il più arduo. E drammatico, perché in Tobino l’arte non imita la vita, ma è la vita stessa: per dirla con Artaud, guardacaso qui un emblema perfetto, esatta quintessenza di Teatro e Follia.
Le sue pagine sono di una bellezza pittorica, e accumulano al contempo una massa enorme di materiale formale, atmosferico, umorale. Gioco di contrasto e contrappunto, per dare voce ai più umili. Già di per sé una drammaturgia perfetta: non restava che prenderci il lusso di dargli pienamente voce su un palcoscenico.